Il denaro proprio di ciascun popolo e di ciascuna epoca
Il denaro non è il prodotto della convenzione fra gli uomini economici, né il prodotto di atti legislativi. Il denaro non è un'invenzione dei popoli. I singoli individui economici di un popolo hanno raggiunto ovunque, con la crescente penetrazione nei propri interessi economici, anche l'evidente nozione che, cedendo merci meno esitabili contro altre di maggiore esitabilità, i loro specifici scopi economici vengono notevolmente favoriti, e così in molti centri civili, indipendenti l'uno dall'altro, sorse il denaro, col progressivo sviluppo dell'economia sociale. Ma proprio perché il denaro si mostra come un prodotto naturale dell'economia umana, la sua particolare forma fenomenica fu ovunque e in tutti i tempi il risultato della particolare e mutevole situazione economica. Così differenti beni hanno acquisito la particolare posizione alla quale abbiamo accennato per popoli diversi nella stessa epoca, e per lo stesso popolo in epoche diverse.
Nei primi periodi dello sviluppo economico, sembra che presso il maggior numero di popoli del mondo il bestiame sia stata la merce più esitabile. Fra i nomadi, e presso tutte le popolazioni in procinto di passare dal nomadismo all'agricoltura, gli animali domestici costituiscono la parte più importante del patrimonio di ciascuno, e la loro esitabilità si estende proprio a tutti i soggetti economici; data, poi, la mancanza di strade e il fatto che il bestiame si trasporta da sé (nei primordi della civiltà pressoché gratis!), tale esitabilità ha confini territoriali più ampi della maggior parte delle altre merci. Il bestiame è una merce che ha abbastanza capacità di conservarsi, i suoi costi di mantenimento sono irrisori dove esistono pascoli in abbondanza e le bestie vivono allo stato brado, e in stadi di civiltà in cui ognuno aspira a possedere mandrie il più numerose possibile, il bestiame non può essere messo facilmente sul mercato in quantità enormi, ed è perciò favorito anche in relazione ai limiti temporali e quantitativi della propria esitabilità. Per nessun'altra merce, nell'epoca di cui stiamo parlando, concorrono nello stesso modo le condizioni di un'esitabilità così ampia. Se poi aggiungiamo che in queste condizioni il commercio di bestiame era relativamente molto più sviluppato di quello di qualsiasi altra merce, il bestiame ci si mostra come la merce più esitabile di tutte quelle a disposizione, ossia come il denaro naturale dei popoli del mondo antico.
I greci, il popolo più civile dell'antichità, di cui la storia ci permette di conoscere i gradi di sviluppo con contorni abbastanza definiti, non mostrano nel commercio, neppure ai tempi di Omero, alcuna traccia del nostro attuale denaro monetato. Il commercio si svolgeva prevalentemente in forma di baratto, le mandrie costituivano la ricchezza degli uomini, i pagamenti venivano compiuti in bestiame, i prezzi delle merci erano valutati in bestiame, e in bestiame si pagavano le multe. Ancora Dracone applica le multe in bestiame e soltanto Solone, evidentemente dopo che esse erano già cadute in disuso, riscrive sotto forma di denaro metallico nella misura di una dracma per una pecora, e di cinque dracme per il bue. Ancor più chiaramente che presso i greci, le tracce del bestiame-denaro si ritrovano presso gli antenati degli italici dediti all'allevamento. Fino ai tempi più recenti il bue, e la pecora, fungono presso i romani da mezzo di scambio. Le più antiche pene giudiziali sono multe in bestiame (da pagarsi in buoi e pecore), ricorrono ancora nella lex Aternia Tarpeia, 454 a.C., e vengono trasformate in somme di denaro metallico soltanto ventiquattro anni dopo. Presso i nostri antenati, gli antichi germani, al tempo in cui, secondo Tacito, essi stimavano ancora come equivalenti le stoviglie di argento e quelle di terracotta, una mandria numerosa e "ricchezza" erano lo stesso concetto. Come per i greci all'epoca omerica, il baratto è la forma commerciale prevalente, e tuttavia anche qui i capi di bestiame, perlopiù cavalli (insieme con le armi!) servono già da mezzo di scambio. Il bestiame è il loro possesso prediletto, che essi preferiscono ad ogni altro, le pene giudiziali vengono pagate in bestiame e armi, come più tardi in moneta metallica. Ancora Ottone il Grande commina multe in bestiame. Presso gli arabi, esisteva il bestiame-valuta ancora ai tempi di Maometto, e presso i popoli dell'Asia orientale, presso i quali avevano valore gli scritti sacri di Zoroastro, gli Zendavesta, le altre forme di denaro soppiantarono il bestiame-valuta piuttosto tardi, dopo che i popoli confinanti erano già da lungo tempo passati alla moneta metallica. Si può supporre che il bestiame sia stato usato come denaro presso gli ebrei, i popoli dell'Asia minore e gli abitanti della Mesopotamia in tempi preistorici, ma non esistono prove in proposito. Tutti questi popoli entrano nella storia da uno stadio di civiltà in cui hanno già lasciato dietro di sé il bestiame-valuta, per quanto se ne può concludere dall'analogia dello sviluppo successivo, e dal fatto che i grossi pagamenti in metallo, o in oggetti di metallo, sembrano contraddire la semplicità degli inizi della civiltà.
La progressiva civilizzazione, e in particolare la divisione delle occupazioni e la naturale conseguenza di questa divisione, cioè la graduale fondazione di città con popolazione prevalentemente dedita all'industria, comportano necessariamente che l'esitabilità del bestiame viene meno nella stessa misura in cui cresce per altre merci, e in particolare per i metalli utili. L'artigiano che effettua uno scambio con l'agricoltore è soltanto eccezionalmente nella condizione di accettare come denaro il bestiame, e in ogni caso per l'abitante della città il possesso transitorio di bestiame è non solo gravoso, ma connesso a notevoli sacrifici economici. Persino per il coltivatore, la cura del bestiame non comporta un significativo sacrificio economico soltanto finché egli ha a disposizione pascoli a volontà, e si finché è soliti tenere il bestiame alla stato brado. Pertanto, il bestiame perde in gran parte, con il progressivo sviluppo della civiltà, l'ampiezza della propria esitabilità, sia rispetto alla cerchia di persone cui può esser venduto, sia al tempo entro il quale lo può essere in maniera economica, mentre in considerazione dei limiti spaziali e quantitativi della propria esitabilità diviene sempre più secondario rispetto ad altri beni. Esso cessa di essere la merce più esitabile, il denaro economico, e infine di essere trattato come denaro.
Tutti i popoli civili presso i quali sinora il bestiame aveva il carattere di denaro, passando dal nomadismo e dalla pura economia agricola all'epoca dell'artigianato, hanno anche abbandonato il bestiame-denaro, e sono passati ai metalli utili, e fra questi, principalmente per la loro facile estrazione e malleabilità al rame, all'argento, all'oro, e in qualche caso anche al ferro. Tale passaggio non appena divenne necessario riuscì tanto più facilmente, in quanto accanto al bestiame-valuta già prima senza dubbio si usavano dovunque nei piccoli pagamenti come denaro oggetti di metallo o metallo grezzo.
Il rame fu il più antico metallo dal quale il contadino ricavò il proprio aratro, il guerriero le proprie armi e l'artigiano i propri attrezzi, mentre rame, oro e argento furono i più antichi materiali utilizzati per stoviglie e ornamenti d'ogni specie. Nello stadio di civiltà in cui i popoli passarono dal bestiame-denaro al denaro metallico, il rame e qualche altra sua lega erano perciò beni d'uso comune, mentre l'oro e l'argento erano beni generalmente desiderati come i mezzi più importanti per soddisfare la più generale passione degli uomini meno colti, ossia il tentativo di distinguersi esteriormente dagli altri membri della tribù. Aggiungiamo, inoltre, che questi metalli fino a quando servirono a pochi usi come oggetti lavorati, e più tardi come materiali grezzi di impiegabilità e divisibilità illimitate, non furono limitati nella loro esitabilità né a una ricerchia stretta di persone economiche, né a confini spaziali limitati per il loro uso comune a tutti i popoli e per la loro trasportabilità facile e relativamente poco costosa, né a limiti temporali ristretti per la loro durabilità; e aggiungiamo ancora che in regime di libera concorrenza essi potevano essere venduti a prezzi economici in misura maggiore di qualsiasi altra merce, qualsiasi fosse la quantità data. Abbiamo così di fronte agli occhi la situazione economica in cui i tre menzionati metalli divennero i beni più smerciabili e infine mezzi di scambio dell'epoca successiva al nomadismo e alla pura economia agricola.
Questo passaggio non è avvenuto né improvvisamente, né in tutti i popoli nello stesso modo. La nuova valuta metallica può aver coabitato a lungo con l'antico bestiame-valuta prima di sbarazzarsene definitivamente, e la valutazione di un capo di bestiame nel metallo trasformatosi in denaro può essersi conservata come unità di misura anche dopo che il denaro metallico ebbe pervaso tutto il commercio. I dekaboion, tesseraboion ed hekatomboion dei greci, come il più antico denaro metallico dei romani e dei galli, possono essere state di questa specie, e l'immagine dell'animale che appare sui pezzi di metallo può essere stato il simbolo di tale valutazione.
Che il rame, oppure il bronzo, siano stati i più antichi mezzi di scambio, in quanto ritenuti i metalli utili più importanti, e che i metalli nobili siano entrati in funzione come denaro soltanto più tardi, è perlomeno incerto. Nell'Asia orientale, in Cina, forse anche in India, la valuta di rame è stata perfezionata, come nell'Italia centrale il rame si è sviluppato in una particolare valuta. Nelle antichissime civiltà del Tigri e dell'Eufrate non si trova invece traccia della precedente esistenza di una valuta autonoma di rame, e nell'Asia minore, in Egitto, in Grecia, Sicilia e nell'Italia meridionale la sua autonoma formazione, dove è esistita, non poté mantenersi per il grande sviluppo dello scambio nel Mediterraneo che non poteva essere esercitato razionalmente come il rame. E' invece certo, che tutti i popoli che furono condotti alla valuta di rame dalle circostanze esterne nelle quali si sviluppò la loro economia, con il progredire dello sviluppo civile, e in particolare con l'ampliarsi del loro commercio, passarono dai metalli meno preziosi a quelli più preziosi, ossia dal rame e dal ferro all'argento e all'oro, e là dove si era adottata la valuta d'argento passarono alla valuta d'oro; e anche se il passaggio non è avvenuto di fatto ovunque, la tendenza era comunque questa. Nel limitato commercio di un'antica città sabina con l'ambiente circostante, e data la semplicità dei costumi sabini, non appena il bestiame-valuta scomparve, il rame divenne il più importante metallo utile, servendo altrettanto bene gli scopi pratici dei campagnoli e dei cittadini, ossia era la merce la cui esitabilità si estendeva alla maggiore cerchia di persone, e che aveva i limiti più ampi dal punto di vista quantitativo - ciò che ai primordi della civiltà è la condizione essenziale del denaro - ed era inoltre un bene che, essendo facile e non costoso conservare in piccola quantità, e potendo essere trasportato in modo relativamente economico entro territori limitati, era sufficientemente qualificato per fungere da denaro. Ma non appena i confini del commercio si ampliano e avvengono grandi scambi di merci, il rame perde naturalmente l'attitudine a servire da denaro, nella misura in cui i metalli nobili divengono sempre più le merci più esitabili nelle civiltà progredite, caratterizzate dall'estendersi del commercio a tutta la Terra, dai grandi scambi di merce, e dal sempre crescente bisogno di ogni singolo soggetto economico di procurarsi denaro, dovuto alla divisione del lavoro. I metalli nobili divengono, col progredire delle civiltà, le merci più esitabili, e con ciò anche il denaro naturale dei popoli economicamente progrediti.
La storia di altri popoli ci offre un quadro molto diverso del loro sviluppo economico, e perciò anche del loro sistema monetario. Quando gli Europei entrarono in Messico per la prima volta sembra, per stare alle notizie pubblicate dai testimoni oculari sullo stato del Paese, che esso avesse già raggiunto un non comune grado di cultura economica. Il sistema commerciale degli antichi Aztechi è per noi di particolare interesse per un duplice motivo. Da una parte, esso ci mostra che l'idea economica che guida gli uomini nella loro attività diretta a soddisfare nel modo più completo possibile i propri bisogni conduce ovunque a fenomeni economici analoghi, e dall'altra l'antico Messico ci offre il quadro di un Paese che si trova nello stadio di passaggio dal puro commercio di baratto all'economia monetaria, il quadro dunque di uno stato di cose in cui possiamo immediatamente osservare il particolare processo attraverso il quale un certo numero di beni esce dalla cerchia di tutti gli altri, e diviene denaro.
Le notizie dei conquistatori e degli scrittori contemporanei ci descrivono il Messico come un Paese con numerose città, e con un esteso e ben regolato sistema commerciale. Nelle città si tengono giornalmente mercati, e ogni cinque giorni mercati generali, suddivisi nel regno in modo tale che il mercato generale di una città non venga danneggiato dalla concorrenza di quello della città vicina. Per il traffico di merci esistono in ogni regione alcune grosse piazze in cui viene fissato un determinato posto per ciascuna merce, fuori del quale essa non può essere venduta, e a tale regola si fa eccezione soltanto per le vettovaglie e per gli oggetti difficilmente trasportabili (legnami, tannino, pietre, etc.). Il numero di persone che si riuniscono al mercato della capitale Mexico, è nei giorni normali di venti-venticinque mila, nei giorni di grande mercato di quaranta-cinquanta mila persone, e le merci che vengono qui vendute sono di una grande varietà.
Qui sorge l'interessante questione se sui mercati dell'antico Messico, al tempo in cui essi arrivarono per la prima volta, già da molto non si muoveva più soltanto nell'ambito del puro baratto, ma che anzi alcune merci avevano acquistato nel commercio dei beni quella posizione particolare che abbiamo ampiamente illustrato, ossia la posizione di denaro. Semi di cacao in sacchetti da otto-ventiquattro mila pezzi, piccole pezze di cotone, polvere d'oro in penne d'oca, che venivano scambiate secondo la loro grandezza (la bilancia e gli strumenti di misurazione del peso erano sconosciuti agli antichi messicani), pezzi di rame, e infine sottili lamine di stagno, sembrano essere state le merci che ovunque non si potesse ottenere un immediato scambio di beni d'uso, venivano accettate volentieri da chiunque (come denaro), anche se non ne aveva immediatamente bisogno. Fra le merci che venivano scambiate sui mercati messicani vengono menzionate dai testimoni oculari le seguenti: animali vivi e morti, cacao, tutti gli altri commestibili, pietre preziose, medicinali, erbe, gomme, resine, specie di terra, rimedi preparati con filamenti d'aloe e di palma, merci preparate con crini animali, lavori in penne, legno e pietre, e infine oro, rame, stagno, legno, pietre, tannino e pelli. Ora, se prendiamo in considerazione queste merci, e il fatto che il Messico al tempo in cui fu scoperto dagli Europei era giù un paese progredito, dedito all'industria e con una numerosa popolazione cittadina, ne deriva, anche perché esso non conosceva la maggior parte dei nostri animali domestici, che il bestiame-valuta è del tutto fuori discussione. Se poi si aggiunge che il cacao era la bevanda quotidiana, che il cotone era la più comune stoffa per i vestiti, e che oro, rame e stagno erano i metalli utili più adoperati dagli Aztechi, beni quindi che, per la loro natura e per il loro uso diffuso, possedevano un'esitabilità superiore a quella di tutte le altre merci, non è difficile comprendere perché proprio questi beni divennero il denaro del popolo azteco. Essi erano il denaro naturale dell'antico Messico, anche se ancora poco sviluppato.
Ragioni analoghe fanno sì che fra i popoli cacciatori che esercitano il commercio con l'esterno le pelli animali si trasformino in denaro. In questi popoli esisterà naturalmente un sovrappiù di pellicce, perché il fatto che una famiglia faccia provvista di cibo per mezzo della caccia comporta una tale abbondanza di pelli, che può sorgere fra i singoli membri della tribù al massimo una concorrenza per specie di pelli particolarmente belle o rare. Ma se una tribù entra in rapporti di scambio con popoli stranieri, e sorge un mercato per le pelli sul quale possono essere scambiati al loro posto molti beni d'uso a scelta del cacciatore, niente è più naturale del fatto che la pelliccia divenga il bene più esitabile e che sia perciò anche accettata volentieri negli scambi dei cacciatori fra loro. Il cacciatore "A" non ha peraltro bisogno delle pelli del cacciatore "B", che accetta in cambio; ma egli sa che potrà scambiarle facilmente sul mercato per altri beni d'uso di cui ha bisogno, e quindi le acquista, anche se per lui esse hanno soltanto il carattere di merci, in cambio di merci meno esitabili che si trovano in suo possesso. Possiamo anche osservare di fatto che il già illustrato rapporto esiste in quasi tutte le tribù di cacciatori che esercitano il commercio di pellicce con l'esterno.
Il fatto che tavolette di sale e schiavi fossero considerati denaro nell'interno dell'Africa, come i dolci di cera nell'alto Rio delle Amazzoni, gli stoccafissi in Islanda e a Terranova, il tabacco nel Maryland e in Virginia, lo zucchero nelle Indie occidentali inglesi, a l'avorio nella zona dei possedimenti portoghesi, si spiega con la circostanza che questi beni erano o sono ancora i principali articoli commerciali, e che di conseguenza, come la pelliccia presso i popoli cacciatori, acquisirono un'esitabilità preminente. D'altra parte, il carattere di denaro locale di molti altri beni va ricondotto al loro grande e diffuso valore d'uso locale, e alla conseguente loro elevata esitabilità. Di tale specie è, per esempio, il carattere di denaro dei datteri nell'oasi di Siwah, delle tavole di the nell'Asia settentrionale e in Siberia, delle perle di vetro nella Nubia e nel Senar, del ghussub, una specie di miglio, nel regno di Ahir (Africa); talvolta concorrono due elementi, come per esempio nel caso dei cauri, che sono contemporaneamente un ornamento generalmente desiderato e un articolo commerciale.
Così, il denaro ci si presenta, anche nelle sue particolari e differenti forme fenomeniche spazio-temporali, non come il risultato di una convenzione, o di una costrizione legislativa, e ancor meno come frutto del puro caso, ma come il naturale prodotto della differente situazione economica di diversi popoli in una data epoca, e dello stesso popolo in epoche diverse.
Carl Menger, 1871
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