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Teoria del denaro (III)

Il denaro come "misura dei prezzi", e come la più economica forma di "scorta di scambio"


Se, in conseguenza del progressivo sviluppo del traffico e del funzionamento del denaro, si forma una situazione economica nella quale merci di ogni genere vengono scambiate le une contro le altre, e nella quale i limiti, entro i quali avviene la formazione del prezzo, divengono sempre più stretti per l'influsso di una vivace concorrenza, è naturale supporre che tutte le merci, in considerazione di un luogo e un momento dati, stiano l'una con l'altra in un certo rapporto di prezzo, sulla base del quale esse possono essere scambiate a piacimento.


Poniamo il caso che la formazione del prezzo delle merci sotto indicate (delle quali vengono presupposte determinate qualità) avvenga, in un mercato dato e in un momento dato, come segue:


Articolo

Prezzi effettivi (talleri/quintale)

Prezzi medi (talleri/quintale)

Zucchero

24 - 26

25

Cotone

29 - 31

30

Farina

5,5 - 6,5

6


Se ora si suppone che il prezzo medio di una merce sia quello al quale si può vendere che comprare, nel caso precedente 4 quintali di zucchero ci appaiono, per esempio, come l'"equivalente" di 3,33 quintali di cotone, e quest'ultimo come l'"equivalente" di 16,66 quintali di farina e di 100 talleri, e viceversa; non ci resta allora altro che definire l'equivalente così inteso di una merce, o uno dei suoi molti equivalenti, il suo "valore di scambio", mentre definiremo la somma per la quale essa può essere sia venduta che acquistata il suo "valore di scambio per eccellenza", giungendo così alla concezione predominante nella nostra scienza sul valore di scambio in generale, e specialmente sul denaro come "misura del valore di scambio".


"In un Paese nel quale esiste un vivace traffico - scrive Turgot - ogni specie di beni acquisterà un prezzo corrente in rapporto a ciascun altro bene, così che una determinata quantità dell'una specie ci si presenterà come l'equivalente di una certa quantità di ogni altro. Ora, per esprimere in particolare il valore di scambio di un bene, basta ovviamente nominare la quantità di un'altra merce conosciuta che costituisce l'equivalente di quel bene. Ma è con ciò chiaro che tutte le specie di beni che possono essere oggetto del traffico, si misurano, per così dire, reciprocamente, e che ognuna di esse può servire da misura per tutte le altre". In modo simile si esprimono quasi tutti gli economisti, e giungendo alla conclusione, come Turgot nel corso del suo famoso saggio sull'origine e la distribuzione del patrimonio pubblico, che il denaro è fra tutte le possibili "misure del valore di scambio" la più conforme allo scopo, e pertanto anche la più generalizzata. L'unico difetto di questa misura consisterebbe nel fatto che il valore del denaro non è neppure esso una grandezza fissa, ma variabile, e che pertanto fornirebbe una misura del "valore di scambio" sicura per ogni dato momento, ma non certo per momenti diversi.


Ora, noi abbiamo mostrato nella teoria del prezzo che i beni-equivalenti, nel senso oggettivo del termine, non possono mai essere osservati nell'economia umana, e la suddetta teoria per la quale il denaro viene preso come "misura del valore di scambio" dei beni cade pertanto nel nulla, perché il suo fondamento è una finzione, un errore.


Se su un mercato della lana un quintale di lana di una certa qualità viene venduto in un caso per 103 fiorini, spesso avvengono sullo stesso mercato contemporaneamente transazioni a prezzi superiori o inferiori, per esempio a 104, 103,5, e a 102 e 102,5 fiorini, e mentre i compratori che ancora restano al mercato si dichiarano pronti a "prendere" per 101 fiorini, i venditori vogliono contemporaneamente "dare" soltanto a 105 fiorini. Qual è in questo caso il "valore di scambio" di un quintale di lana? O viceversa, quale quantità di lana è, per esempio, il "valore di scambio" di 100 fiorini? Evidentemente si può solo dire che un quintale di lana può essere venduto o comperato entro i limiti di 101-105 fiorini su quel mercato e nel momento dato, ma non succede mai che una determinata quantità di lana e una determinata quantità di denaro (o altrimenti di una merce) possono essere reciprocamente scambiati, e dunque gli equivalenti nel senso oggettivo del termine non esistono: non si può quindi parlare neppure di una misura di tali equivalenti (ossia del "valore di scambio").


Certamente, la vita pratica ha favorito, rispetto ad alcuni scopi economici, anche il bisogno di valutazioni di una certa esattezza, in particolare di valutazioni in denaro, e in tutti i casi in cui si tratta soltanto di un'esattezza approssimativa dei calcoli dei prezzi medi, che corrispondono in generale al meglio a questo scopo, vengono posti a buon diritto a base delle corrispondenti valutazioni. Ma è chiaro che questo metodo di valutazione dei beni, quando si richiede un superiore grado di esattezza, si dimostra del tutto insoddisfacente per la vita pratica, anzi proprio sbagliato. Dovunque si tratta di una valutazione precisa si deve piuttosto, a seconda dell'intenzione di colui che valuta, distinguere tre casi. L'intenzione di colui che valuta può essere rivolta:


  1. a calcolare il prezzo al quale certi beni, se fossero messi sul mercato, potrebbero essere venduti;

  2. a calcolare il prezzo al quale beni di una certa specie e qualità potrebbero essere acquistati sul mercato;

  3. a calcolare una quantità di merce, ovvero una somma di denaro, che per un determinato soggetto è l'equivalente di un bene, ovvero di una quantità di beni.


La soluzione dei primi due problemi scaturisce già da quanto abbiamo detto. La formazione del prezzo avviene ogni volta fra due estremi, dei quali l'inferiore potrebbe definirsi anche prezzo di domanda (ossia il prezzo al quale la merce viene cercata sul mercato), e il superiore prezzo d'offerta (ossia il prezzo al quale la merce viene offerta sul mercato). Il primo prezzo costituirà di regola la base del calcolo di cui al punto 1, mentre il secondo del calcolo di cui al punto 2. Più difficile è rispondere alla terza domanda, perché in questo caso si deve prendere in considerazione la particolare posizione che il bene, o la quantità di beni, il cui equivalente (nel senso soggettivo del termine) è in questione, occupa nell'economia del soggetto interessato, e in particolare si deve sapere se il bene ha per lui prevalentemente valore d'uso o valore di scambio, e nel caso di quantità di beni si deve conoscere anche la quantità parziale rispetto alla quale si verifica l'uno o l'altro caso.


"A" possiede i beni "a", "b", "c", che hanno per lui prevalentemente valore d'uso, e i beni "d", "e", "f", che invece hanno prevalentemente valore di scambio. La somma di denaro che egli potrebbe presumibilmente ottenere dalla vendita del primo tipo di beni non sarebbe per lui un loro equivalente, perché il loro valore d'uso è quello superiore, ossia economico. L'equivalente di questi beni sarebbe soltanto una somma tale da permettergli di acquistare beni simili ai primi, o che comunque avessero per lui lo stesso valore d'uso. Per quanto riguarda invece i beni "d", "e", "f", essi sono merci, dunque destinati allo scambio, e secondo il corso abituale delle cose allo scambio contro denaro, e il prezzo prevedibilmente ottenibile per essi è di regola per il soggetto economico "A" l'equivalente di tali beni. L'esatta determinazione dell'equivalente di un bene non può dunque avvenire se non considerando il possessore e la posizione economica del bene rispetto a lui, e la determinazione dell'equivalente di un complesso di beni, ovvero di un patrimonio, presuppone necessariamente il calcolo separato dell'equivalente dei beni d'uso e quello delle merci.


Anche se, in base a quanto si è detto, la teoria del "valore di scambio" in generale, e la teoria del denaro come "misura del valore di scambio" devono essere necessariamente essere considerate insostenibili, l'osservazione della natura e della funzione del denaro c'insegna che le diverse valutazioni delle quali abbiamo parlato (da distinguere dalla misurazione del "valore di scambio" dei beni), avvengono di regola nel modo più conforme alla scopo in denaro. Lo scopo delle prime due valutazioni è il calcolo delle quantità di beni per le quali una merce, in un dato momento e su un dato mercato, potrebbe esser venduta oppure comprata. Queste quantità di beni, nel caso in cui le relative transazioni venissero effettivamente compiute, consisterebbero di regola soltanto in denaro, e la conoscenza delle somme di denaro per le quali una merce può essere venduta oppure comprata è, pertanto, lo scopo più immediato del problema economico della valutazione.


Ma il denaro, in condizioni commerciali sviluppate, è contemporaneamente l'unica merce in base alla quale può compiersi la valutazione di tutte le altre senza deviazioni. Infatti, quando il baratto nel senso più stretto del termine scompare, e soltanto le somme di denaro compaiono di fatto come prezzi delle diverse merci, vengono a mancare fondamenti sicuri per ogni altra forma di valutazione. Una valutazione di lana e grano in denaro è per esempio relativamente molto facile, mentre una valutazione della lana in grano, e viceversa del grano in lana, comporta maggiori difficoltà per il fatto che uno scambio diretto di questi due beni non avviene mai, o soltanto in casi eccezionali, e pertanto vengono a mancare le basi della valutazione, ossia mancano i relativi prezzi effettivi. Dunque, una valutazione di questo genere è per lo più possibile soltanto sulla base di un calcolo che ha già per presupposto la valutazione dei relativi beni in denaro, mentre la valutazione di un bene in denaro può avvenire immediatamente sulla base dei prezzi effettivi esistenti.


Pertanto, come abbiamo visto, la valutazione delle merci in denaro non soltanto corrisponde meglio agli usuali scopi pratici della valutazione, ma è anche quanto di più immediato e semplice in relazione all'attuazione pratica, mentre una valutazione in altre merci è un procedimento più complicato, che presuppone già il primo tipo di valutazione. Lo stesso vale anche per il calcolo degli equivalenti dei beni nel senso soggettivo del termine, perché esso ha a fondamento e presupposto, come abbiamo visto, di nuovo le prime due forme di valutazione. E' chiaro, pertanto, perché proprio il denaro sia la merce in base alla quale di regola si compiono le valutazioni, e in questo senso (come merce, nella quale in condizioni economiche sviluppate si compiono valutazioni nel modo più conforme allo scopo) lo si può definire sempre una misura del prezzo.


La stessa ragione fa sì che il denaro sia anche il mezzo preferito per investire tutte le parti costitutive del patrimonio, per mezzo delle quali il possessore si propone di acquistare altri beni (siano essi mezzi di consumo o di produzione). Le parti del patrimonio che un individuo economico destina all'acquista di mezzi di consumo, ottengono, per il fatto di essere scambiati contro denaro, quella forma nella quale il possessore può soddisfare ogni volta i propri bisogni nella maniera più rapida e sicura, e anche per le parti del capitale di un individuo economico che non consistono in elementi destinati alla produzione, la forma di denaro è per lo stesso motivo molto più adeguata di qualsiasi altra, perché la merce di altro tipo deve essere prima di tutto scambiata in denaro per poter essere poi scambiata con i mezzi di produzione. Di fatto, l'esperienza quotidiana c'insegna che gli uomini economici si sforzano di scambiare in denaro la parte della loro scorta di consumo non consistente in beni destinati alla diretta soddisfazione dei bisogni, ma in merci; ed essi scambiano anche la parte del proprio capitale non consistente in fattori della prevedibile produzione, per avvicinarsi di un non indifferente passo ai propri scopi economici.


Al contrario, dev'essere definita erronea l'opinione che attribuisce al denaro come tale la funzione di trasferire "valore" dal presente al futuro. Infatti, benché per la sua durabilità, la conservazione poco costosa, etc., il denaro metallico sia adatto anche a questo scopo, è chiaro che altre merci mostrano un'attitudine ancor maggiore, anzi l'esperienza insegna che dovunque al posto dei metalli nobili hanno acquisito il carattere di denaro beni meno conservabili, questi ultimi sono soliti servire allo scopo della circolazione, ma non a quello della conservazione del "valore".


Riassumendo, si può concludere che la merce divenuta denaro, sempre che non esistano ostacoli dovuti a sue caratteristiche, è contemporaneamente quella nella quale possono essere compiute, nel modo più adeguato, le valutazioni corrispondenti agli scopi pratici degli uomini economici, e gl'investimenti delle scorte di scambio, e che il denaro metallico (che gli studiosi hanno sempre in mente nella nostra scienza quando parlano di denaro in generale) corrisponde a tali scopi effettivamente in misura elevata. Ma ci pare altrettanto sicuro che al denaro in quanto tale non può essere attribuita la funzione di "misura del valore" e di "garante del valore", perché queste funzioni sono di natura accidentale e non sono già contenute nel concetto di denaro.


Carl Menger, 1871

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